Contratto di convivenza: Che cos’è e come funziona?
Sono stati introdotti dalla Legge Cirinnà, che li tratta al comma 51 della legge 76 del 2016.
I contratti di convivenza possono essere redatti tramite scrittura autenticata da un avvocato od un notaio, od anche per atto pubblico (notarile).
La forma notarile è obbligatoria per tutti i contratti che prevedano il trasferimento di diritti reali immobiliari. Il professionista che abbia stipulato un contratto di convivenza ne dovrà poi attestare la conformità all’ordine pubblico ed alle norme imperative, e, successivamente alla stipula, sarà tenuto a trasmettere copia di quanto stipulato al Comune di residenza dei conviventi ai fini dell’iscrizione all’anagrafe.
Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione, e quindi non si può prevedere che venga “annullato” al verificarsi di un particolare evento o al termine di un certo periodo di tempo. Il contratto di convivenza non tollera l’apposizione di termini o condizioni. Quando i termini o le condizioni siano fissati nell’ambito di un contratto di convivenza, si avranno per non apposti in quanto nulli. Lo scopo di questo divieto è quello di evitare una possibile coartazione della volontà di uno od entrambi i conviventi, che non potranno essere forzatamente costretti a comportarsi in un modo o nell’altro in considerazione di un termine o di una condizione di efficacia. Per sciogliere il contratto è quindi necessaria l’esplicita richiesta di almeno uno dei due conviventi.
Il regime patrimoniale nei contratti di convivenza
I conviventi con il contratto possono scegliere un regime patrimoniale, quale la comunione legale o la separazione legale dei beni. È possibile modificare, con altro atto (notarile) in qualsiasi momento le convenzioni in ordine al regime patrimoniale scelto.
La “fine” del contratto di convivenza
Il contratto di convivenza cessa nei seguenti casi:
a) accordo delle parti;
b) recesso unilaterale;
c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e altro soggetto;
d) morte di uno dei contraenti.
Come visto, i conviventi possono recedere (unilateralmente) dal contratto di convivenza, quindi il partner a cui “non vada più bene” la convivenza, può scioglierla con dichiarazione unilaterale resa al notaio o all’avvocato. Quando il convivente che eserciti il recesso sia unico titolare della disponibilità della residenza familiare, lo stesso dovrà concedere all’altro convivente un termine non inferiore ai 90 giorni per abbandonare l’immobile.
In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti (ATTENZIONE, NON È L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO) qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’articolo 438, secondo comma, del codice civile. Sono invece nulle le clausole relative al pagamento di una penale nel caso in cui dovesse cessare il rapporto di convivenza.
La funzione e le utilità pratiche di un contratto di convivenza
Attraverso il contratto, i conviventi potranno stabilire, ad esempio, chi dovrà contribuire a determinate spese per il fabbisogno della famiglia di fatto. I conviventi potranno poi stabilire le modalità attraverso le quali stipulare contratti che abbiano ad oggetto la convivenza (locazioni, compravendite, ecc.), le modalità attraverso le quali “accantonare” delle somme di danaro per i fabbisogni familiari e così via.